A novant’anni Andrzej Wajda ha realizzato il suo ultimo capolavoro, un altro dei tanti.
Il ritratto negato è un film struggente, neorealistico, commovente e commosso.
Si tratta dell’omaggio di un’artista come Wajda, che aveva fatto della lotta all’ideologia il suo credo e la sua vita, a un altro artista che credeva nella libertà d’espressione e nella necessità di non abdicare a se stessi.
Il film è il ritratto del pittore Władysław Strzemińsk, nato a Minsk nel 1893 e morto nel 1952 a Lodz. Strzemińsk era cofondatore ed elemento di spicco dell’Unionismo.
L’artista si è sempre opposto all’imposizione di una concezione dell’arte univoca, come quella voluta dallo Stalinismo. Strzemińsk è stato via via emarginato, e poi ridotto alla fame per la sua rivendicazione di un’arte libera dalle costrizioni e dalle imposizioni di regime.
Il film è improntato alla sobrietà, alla ricerca della verità umana e artistica del pittore, che riesce a cogliere senza essere eccessivamente didascalico. Notevoli gli interpreti.
Sono due gli elementi che mi hanno maggiormente colpito.
Da una parte la necessità della memoria. E’ importante non dimenticare quanti prima di noi si sono battuti per difendere valori come: libertà e dignità. Senza di loro noi non saremmo.
Dall’altra mai ha colpito la descrizione della follia della burocrazia. Una follia che a un certo punto diventa normalità. Ci viene fatto credere che quella follia sia normale.
Ecco! Wajda ci aiuta a ricordare che quella follia non è normale. E’ e rimane follia.
Ammetto che lì è scattata l’identificazione. E’ la stessa follia contro cui combatto quotidianamente quando difendo il mio diritto ad esistere come individuo libero, al di là della carrozzina che uso ma che non mi identifica.