Il corpo nelle sue infinite possibilità continua a spiazzarmi. Che cosa c’è in comune tra la fotografia di una giovane donna araba in minigonna che gira da sola per una città mediorientale, e la fotografia di una giovane donna transessuale, che nonostante abbia effettuato la transizione da donna a uomo, decide di rimanere incinta. Già in questo secondo caso le parole tradiscono una mia insicurezza, una mia indecisione che non è solo stilistica. Ho chiamato questa persona: giovane donna. Forse avrei fatto meglio a dire giovane uomo.
La ragazza araba in minigonna viene indagata per atti contro la morale. Anche se poi non viene incarcerata per la politica “illuminata” del principe di turno.
Il giovane uomo transessuale rivendica il suo diritto a portare avanti una gravidanza. In quanto ha conservato gli organi genitali femminili.
Nel primo caso sono pronto a esecrare la ristrettezza di vedute di un mondo arabo, che impedisce a una giovane donna di girare abbigliata come meglio desidera.
Nel secondo caso non sono così pronto a difendere il diritto del giovane uomo a portare avanti una gravidanza. E mi chiedo perché.
Sono forse pronto esecrare la cultura araba perché c’è una mia presunto senso di superiorità, infarcito di pregiudizi, verso una cultura che per molti aspetti considero barbara estrania, inferiore?
Sono meno pronto ad accettare la scelta individuale del giovane uomo occidentale, semplicemente perché i miei parametri culturali non mi consentono di confrontarmi con un enorme cambiamento che il nostro secolo ha portato. Grande cambiamento che consiste nella possibilità di poter modellare e modificare il corpo, e il genere sessuale nella direzione che desideriamo?
Allora tutto si ridurrebbe a un relativismo culturale, cultura araba versus cultura occidentale.
Sempre ammesso che esista una cultura araba, e non ci sia piuttosto una cultura fatta di molteplici “arabismi”.
Mi chiedo se questa possibilità, di modellare il corpo seguendo esclusivamente il nostro desiderio, non sia solo frutto di un sogno di onnipotenza. Inoltre, mi chiedo che effetto possa avere su un futuro bambino, questa maternità così complessa.
Rimango con le mie domande e mi rendo semplicemente conto che non ho riferimenti culturali, non ho parole per darmi delle risposte.
Mi rendo conto di quanto la tecnologia si andata oltre la mia capacità di trovare risposte.
Forse più semplicemente devo fare riferimento a una concezione di Stato laico dove c’è un corpus di leggi che consente la transizione, da donna a uomo o da uomo donna.
Ma allora se c’è questo corpus di leggi si tratta semplicemente di fare riferimento ad esse, e capire cosa queste leggi contemplino o non contemplino, rispetto a questo genere di maternità.
Questa però mi sembra una soluzione pilatesca, in cui non si arriva al nocciolo del problema. Si demanda semplicemente la risposta a un principio di autorità, in questo caso la legge. Ma non si riesce ad andare al di là nel tentativo di dare risposte.
Allora quello che mi rimane é semplicemente fare appello alla possibilità di coltivare il dubbio, alla possibilità di continuare ad interrogare il reale, senza avere la pretesa di poterlo esaurire. Senza avere la pretesa di avere risposte per ogni problema che si pone.
In realtà in entrambi i casi, sia in quello della giovane donna sia in quello del giovane uomo, c’è un’incapacità di comprendere fino in fondo i problemi e la tentazione di dare soluzioni di comodo. Senza avere la capacità di approfondire, di cogliere contesti e motivazione da cui si originano le situazioni.
A fronte di tutto ciò è necessario non abdicare al pensiero critico. Ed è necessario cessare di fare riferimento solo a risposte di comodo.
15 settembre 2017